Arte dell'equilibrio #89 | Padre Enzo Fortunato, in che cosa crederai?
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Ho accolto volentieri l’invito a riflettere su questa domanda. Premetto che pensare a Michelangelo Pistoletto significa pensare anche a Michelangelo, un grande artista che ci riporta nella Cappella Sistina, ma anche al paradiso, non solo perché è un arcangelo nel mondo biblico, ma perché lui lo ha tratteggiato, dipinto e realizzato a livello pittorico e di sculture.
Il paradiso credo sia la parola giusta per dirci in che cosa crederemo. È un termine bellissimo: viene non solo dall’ebraico, ma anche dalla lingua persiana, ed entrambi richiamano una zona e un recinto particolari. C’è anche un’altra etimologia che il mondo biblico ci regala, ovvero la varietà dei frutti. Il paradiso rappresenta questa varietà, in fondo si tratta di un giardino…
Credere al paradiso significa credere a questa varietà di realtà che ci circondano, ma anche di persone che siamo. E la cosa più bella è accogliere i colori di questa varietà, accettarci per quello che siamo, l’uno diverso dall’altro, con credi, culture, provenienze diversi. Quello che ci tiene e mette insieme, però, è la capacità di stare l’uno accanto all’altro, anticipando, per chi crede, il paradiso che ci attende.
In che cosa crederò? Rispondo dicendo che chi crede vince la paura perché ha dei motivi forti che lo portano ad andare avanti, camminare e affrontare le difficoltà. Una di queste è sicuramente la pandemia, un’altra è pensare che ci sono degli uomini che credono di essere nel giusto mentre altri non lo sono, o anche ritenere che abbiamo bisogno di un recinto dove posso stare solo io, alzando muri, pareti e filo spinato. Non è così, perché credere ci permette di concimare il terreno, piccolo o grande che sia, del nostro habitat e del nostro vivere, con la possibilità di seguire la logica di Francesco D’assisi, che ha un aspetto quasi commovente nel raccontare e pregare – attraverso il cantico delle creature – il codice che è anche alla base della nostra lingua italiana. Tutta la realtà è amica e rimanda a Dio, dalla più brutta (come un malato che non vorremmo vedere) alla più bella.
Noi crediamo quindi nell’uomo e nelle sue possibilità di esprimere la bellezza che si porta dentro. Credere significa andare avanti con una motivazione forte e più ce n’è, più bella è la capacità di apertura. Chi invece porta il vuoto dentro farà fatica ad aprirsi: da qui l’augurio di essere uomini e donne credenti.
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